Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una modifica radicale del concetto di coppia, che spesso si traduce in un suo sgretolarsi. Sul piano sociale, possiamo dire che spesso il rifiuto riguarda l’aspetto, per così dire, “istituzionale”, che la creazione di una famiglia comporta. Questo è fondamentalmente ciò che finora, nella nostra società, ha di fatto garantito una stabilità nella maggior parte dei casi, soprattutto fino a quando non era possibile divorziare: una stabilità, di fatto, esteriore, naturalmente. Il problema di fondo, che continua a suscitare interrogativi, è che il rifiuto di questa strutturazione estrinseca, per quanto spesso motivata dalla legittima ricerca di una autenticità dell’amore, solitamente non riesce a sfociare poi in una reale stabilità del legame. A tal proposito, si citano spesso le tragedie di Shakespeare, emblemi dell’amore “da favola”, che puntualmente finiscono in tragedia, a dimostrazione del fatto che l’amore vero e passionale non sia compatibile con il matrimonio o comunque con la coppia stabile, e in effetti questa sorta di “scollamento” si osserva in molti plot narrativi, che per qualche oscura ragione tengono vivo l’interesse del pubblico, come accade ad esempio nelle telenovelas.
Per leggerla sul piano psicologico, assistiamo sempre più spesso al prevalere delle dinamiche di dipendenza e controdipendenza. Si tratta, in fondo, di una dinamica di potere, in cui uno dei due, oppure entrambi alternativamente i componenti della coppia, dirigono il “gioco” lasciando l’altro nell’incertezza: è questa la logica del celebre detto “in amore vince chi fugge”. Puntualmente, una tale dinamica arriva prima o poi ad esaurirsi, per stanchezza, noia, o peggio, violenza. Se un po’ di incertezza, infatti, è necessaria a ravvivare la relazione proteggendola da una stagnante monotonia, d’altro canto un grado eccessivo di imprevedibilità non consente l’instaurarsi di un vero e proprio legame.
Come fare quindi? Premesso che non esiste una vera e propria ricetta, si possono però rintracciare dei riferimenti per orientarsi, grazie a una serie di concetti psicologici con cui è necessario acquisire un po’ di familiarità.
Innanzitutto la simbiosi, che spesso è ciò che si finisce per sognare quando si è innamorati: si immagina che l’altro sia costantemente desideroso di stare con noi, e noi altrettanto, al punto che basta un lieve ritardo nell’invio dei consueti cuoricini per suscitare i peggiori dubbi sulla sua affidabilità. A quel punto si innesca il gioco del “se gli rispondo penserà che sto cascando ai suoi piedi”: per proteggersi da eventuali ferite, ciascuno dei due inizia a muoversi in maniera scostante, per non dare l’impressione all’altro di averla vinta. Questo continuo giocare sull’incertezza, però, non soltanto a lungo andare logora il rapporto, ma è proprio ciò che genera dipendenza nell’altro. Spesso, infatti, uno dei due partner si lamenta del fatto che l’altro sia troppo dipendente, senza rendersi conto del fatto che è proprio il suo comportamento scostante a generare dipendenza nell’altro.
Questo, naturalmente, escludendo le situazioni in cui una modalità dipendente si è strutturata durante l’infanzia: in quei casi, nel rapporto di coppia si ha una riattualizzazione degli schemi primari appresi in famiglia. A dire il vero, possiamo dire che in generale la coppia è un tipo di relazione che mette in campo in maniera massiccia i propri schemi di attaccamento, ovvero quelle relazioni primarie che si sono instaurate nella primissima infanzia con la propria madre e in generale con le persone che si prendevano cura di noi da piccoli. Esistono però gradi diversi nella possibilità di questi schemi di influire sul legame di coppia. Una coppia sana funziona, generalmente, sulla base di ciò che si definisce attaccamento sicuro (J. Bowlby). L’attaccamento sicuro è ciò che consente al bambino piccolo di sostenere l’allontanamento della madre (o del caregiver) con tranquillità, ovvero nella sicurezza che tornerà e che sarà contenta di stare nuovamente con lui, che se ne prenderà cura, e così via.
Questo significa, infatti, che il bambino ha potuto interiorizzare la figura materna in modo da tenerla a mente anche quando non c’è: questo è ciò che in psicologia si definisce “costanza dell’oggetto” – laddove come oggetto si intende l’oggetto d’amore, che primariamente è la madre. Il piccolo allena questa capacità attraverso vari giochi, per esempio il gioco del cucù, grazie al quale gradualmente impara che l’altro non è realmente scomparso, ma è lì dietro le mani che coprono il volto. Un’altra modalità tipica è quella di allontanarsi temporaneamente per giocare, per poi tornare a “ricaricarsi” dalla madre – o dal caregiver – che riveste la funzione di base sicura, per poi ripartire allegramente per le proprie “scorribande”. Una volta interiorizzato e consolidato questo schema, in cui permane la sicurezza di ritrovare l’altro in seguito a un allontanamento, è possibile gradualmente incominciare a raggiungere sempre maggiori autonomie. Questa alternanza di vicinanza e allontanamento è qualcosa che si verifica infatti non solo nel gioco, ma anche nell’accudimento e nell’apprendimento.
Nella coppia possiamo pensare che la stabilità comporti qualcosa di molto simile, ovvero la capacità di entrambi di mantenere una certa fiducia di base, ovvero la consapevolezza di una base sicura, che consente un certo grado di sicurezza contemplando anche dei momenti di distanza. Il riavvicinamento sarà dunque un nuovo momento di scambio fecondo e di desiderio: qualcosa che si pone come alternativa sia alla monotonia dell’istituzione intesa in senso rigido, sia all’imprevedibilità eccessiva che minaccia il rapporto. In assenza di allontanamento, infatti, non si ha la possibilità di percepire la mancanza dell’altro, e dunque di desiderare la sua presenza. In assenza di sicurezza, però, la lontananza non consente di avvertire la mancanza in maniera sana, bensì si trasforma nel luogo della tristezza, della paura che l’altro non torni, della rabbia, emozioni negative che ostacoleranno la possibilità di vivere serenamente l’incontro successivo.
A questo punto appariranno chiare le differenze fra sicurezza e dipendenza: se la prima necessita di una reciprocità di fiducia, la seconda spesso è il frutto di continue incertezze; se la prima consente di vivacizzare il rapporto grazie anche a esperienze effettuate singolarmente dai due partner senza troppi timori, la seconda minaccia costantemente il legame, generando continui litigi e a volte una certa rigidità che non consente una crescita, una evoluzione del rapporto. Dunque è la sicurezza ciò che permette di tollerare l’allontanamento dell’altro e di avvertirne la mancanza, alimentando così il desiderio, laddove l’incertezza, se inizialmente può anche regalare un pizzico di brio, a un certo punto finisce necessariamente per spegnerlo.
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