Il bullismo sfrutta la tecnologia per diventare “cyber"
Durante il periodo di lockdown la tecnologia ha permesso alle persone di svolgere la maggior parte delle attività quotidiane, tra cui anche mantenere attive le relazioni sociali. Tuttavia, come è noto, nell’utilizzo massiccio della tecnologia, non vi sono solo aspetti positivi. Uno dei lati oscuri di questo periodo di emergenza, che sta confermando alcune criticità delle relazioni sociali avviate attraverso il mondo digitale, è il fenomeno del cyberbullismo, che ha trovato terreno fertile durante questi mesi di isolamento.
In questo periodo, infatti, sono aumentati esponenzialmente gli episodi di bullismo virtuale, un fenomeno che testimonia in maniera decisa il ruolo massiccio della digitalizzazione di massa nel disagio moderno. Non si può negare il fatto che, mai come nelle settimane del lockdown, tutto è passato dalla rete: dalle chiacchiere con gli amici ai sentimenti, ma anche i disagi e i condizionamenti amplificati da una reclusione che ha moltiplicato videochat, smart working e didattica online. Sfruttando le meraviglie della tecnologia, allora, il bullismo, che già da qualche anno era diventato “cyber”, si è maggiormente infiltrato nelle case delle vittime, materializzandosi 24 ore su 24, facilitato dal boom di utilizzo di identità virtuali, siti web e social network.
Il problema della mancanza di comunicazione e relazione con l’altro è sempre più grave, ma su che cosa fa leva la tecnologia per poter favorire il diffondersi di questi comportamenti? E quali sono le conseguenze a lungo termine che il diffondersi di questi fenomeni comporta?
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